Il 23 aprile 1946 nasceva a Pontedera un’icona del design italiano: la Vespa. Progettata dall’ingegnere aeronautico Corradino D’Ascanio, la Vespa rispondeva all’esigenza degli italiani del dopoguerra di un mezzo economico, pratico ed elegante per muoversi senza dover pedalare.
Perché la Vespa ha cambiato tutto?
Design rivoluzionario: scocca portante in acciaio che proteggeva dal fango e dalla pioggia
Posizione di guida comoda: come seduti su una poltrona
Ruota di scorta: indispensabile per le strade dissestate del dopoguerra
Prezzo accessibile (68.000 lire, circa 3 mesi di stipendio di un impiegato)
Enrico Piaggio, vedendo il prototipo, esclamò: “Sembra una vespa!” – e da lì nacque il nome.
I modelli che hanno fatto la storia
1. Vespa 98 (1946)
Cilindrata: 98 cc
Velocità max: 60 km/h
Caratteristiche: faro sul parafango, cambio a 3 marce sul manubrio
2. Vespa 125 (1948)
Prima vera “motorizzazione di massa”
Venduta in 10.535 esemplari nel 1947
3. Vespa 50 (1963)
Guidabile senza patente dai 14 anni
Simbolo della libertà giovanile
4. Vespa Primavera (1968)
Design intramontabile
Motore 125 cc da 5,5 CV
Colori vivaci (giallo, azzurro, rosso)
5. Vespa PX (1977)
Cambio a 4 marce
Freni migliorati
Prodotta fino al 2017
Curiosità e record
✅ Esposta al MoMA di New York come capolavoro di design industriale ✅ 19 milioni di esemplari venduti dal 1946 a oggi ✅ Usata dall’esercito: la Vespa 150 TAP era equipaggiata con un lanciarazzi! ✅ Nel cinema: simbolo di libertà in Vacanze Romane (1953) con Audrey Hepburn
La Vespa oggi
Dai modelli elettrici come la Vespa Elettrica alle edizioni speciali firmate Giorgio Armani, la Vespa continua a essere un simbolo di stile e libertà.
Hai mai guidato una Vespa? Raccontaci la tua esperienza!
Il mondo dello sport motoristico è in lutto: Jochen Mass, storico pilota tedesco, è morto ieri, 4 maggio 2025, nella sua casa di Cannes, dopo una lunga malattia. Già colpito da un infarto lo scorso febbraio, Mass si è spento all’età di 78 anni, lasciando un vuoto nel cuore degli appassionati.
Una carriera tra Formula 1 e Endurance
Nato il 30 settembre 1946 a Dorfen, in Germania, Jochen Mass ha costruito una carriera variegata, passando dalla Formula 1 alle gare di endurance, dove ha ottenuto alcuni dei suoi successi più memorabili.
Formula 1: tra vittorie e tragedie
Mass debuttò in F1 nel 1973 con la Surtees, per poi correre con team come McLaren, ATS e Arrows. Il suo miglior risultato in un Gran Premio fu il secondo posto in Spagna nel 1975, al volante della McLaren M23. Tuttavia, il suo nome è purtroppo legato a uno degli incidenti più tragici della storia della F1.
L’incidente con Gilles Villeneuve (Zolder 1982)
L’8 maggio 1982, durante le qualifiche del GP del Belgio a Zolder, Mass, alla guida della March, ebbe un contatto con la Ferrari di Gilles Villeneuve. Il pilota canadese fu sbalzato fuori dall’abitacolo e morì poche ore dopo. Un episodio che segnò profondamente Mass, che in seguito ammise di non aver mai superato del tutto il trauma.
Successi nelle corse endurance e alla 24 Ore di Le Mans
Dopo la F1, Mass si dedicò con grande successo alle gare di endurance, diventando una leggenda nelle competizioni a lunga distanza. Nel 1989 vinse la 24 Ore di Le Mans con la Sauber-Mercedes C9, dominando insieme a Manuel Reuter e Stanley Dickens. Fu anche un pilota chiave per la Porsche e la BMW, conquistando numerose vittorie nel DRM (Deutsche Rennsport Meisterschaft) e nel campionato IMSA.
Il ritiro e la vita dopo le corse
Ritiratosi dalle competizioni negli anni ’90, Mass rimase nel mondo dei motori come collaudatore e commentatore tecnico, portando la sua esperienza alle nuove generazioni. Amante della vita sul mare, si trasferì a Cannes, dove ha vissuto fino alla fine.
Un ricordo indelebile
Jochen Mass è stato un pilota completo, capace di eccellere in diverse discipline motoristiche. Nonostante le ombre legate all’incidente con Villeneuve, la sua carriera è stata costellata di successi e passione per la velocità. Oggi lo ricordiamo non solo per le sue vittorie, ma anche per la sua umanità e professionalità.
Addio, Jochen. La pista non sarà più la stessa senza di te.
La Citroën 2CV, affettuosamente soprannominata “Deux Chevaux” (dal francese “due cavalli”, riferito alla potenza fiscale), rappresenta una delle pagine più brillanti della storia dell’automobile. Prodotta ininterrottamente dal 1948 al 1990, con oltre 5 milioni di esemplari venduti, questa vettura è diventata il simbolo della motorizzazione di massa in Francia e non solo.
Ma cosa rende questa auto così speciale? Scopriamolo attraverso la sua affascinante storia, le innovative soluzioni tecniche e il suo impatto culturale che dura ancora oggi.
La Storia: Dal Progetto Segreto al Successo Mondiale
Gli Albori: Il Progetto TPV (1934-1939)
L’idea della 2CV nacque nel 1934 per volontà di Pierre-Jules Boulanger, che diede al suo team un brief rivoluzionario:
Doveva trasportare 4 persone + 50kg di patate (o un barile di vino)
Raggiungere 60 km/h
Consumare solo 3 litri ogni 100 km
Attraversare un campo arato senza rompere un paniere di uova sul sedile
Il progetto, chiamato TPV (Très Petite Voiture), fu sviluppato in gran segreto in una tenuta fortificata a La Ferté-Vidame, con una pista di prova nascosta da mura alte 3 metri per 16 km di perimetro!
La Seconda Guerra Mondiale e la Distruzione dei Prototipi
Nel 1939 erano pronti 250 esemplari pre-serie, ma lo scoppio della guerra ne impose la distruzione per evitare che cadessero in mano nazista. Solo 4 prototipi furono nascosti e sopravvissero (l’ultimo ritrovato nel 1995).
Il Debutto e le Prime Reazioni (1948)
Quando fu finalmente presentata al Salone di Parigi del 1948, la stampa la definì:
“Brutta, grigia come le auto militari tedesche, con una carrozzeria che sembra lo scheletro di un’auto incendiata”
Eppure, il pubblico la adorò. La produzione partì nel 1949 con liste d’attesa che raggiunsero anni di attesa, trasformandola in un fenomeno sociale.
Tecnica Innovativa: Le Soluzioni Geniali
Motore e Trasmissione
Bicilindrico raffreddato ad aria da 375 cm³ (poi 425 e 602 cm³)
Potenza iniziale di soli 9 CV, poi aumentata a 29 CV
Cambio a 4 marce con frizione centrifuga (per fermarsi senza stallo)
Consumi fino a 3 l/100km nelle prime versioni
Sospensioni Rivoluzionarie
Il sistema progettato da Paul Magès utilizzava:
Bracci oscillanti longitudinali
Molle elicoidali
Ammortizzatori a frizione e a inerzia
Altezza da terra di 22 cm
Questa configurazione permetteva di guidare su terreni accidentati mantenendo un comfort eccezionale, superando brillantemente la famosa prova delle uova.
Carrozzeria e Design
Tetto in tela apribile manualmente
Lamiera ondulata per aumentare la rigidità
Paraurti tubolari come elementi strutturali
Peso contenuto: solo 499 kg nelle prime versioni
Versioni Speciali e Modelli Rari
La Leggendaria 2CV Sahara (1960-1966)
Doppio motore (uno anteriore e uno posteriore)
Trazione integrale selettiva
Doppio serbatoio e doppia strumentazione
Solo 694 esemplari prodotti
Prezzo doppio rispetto alla versione standard
Le Serie Speciali
Charleston (1980-1990): Bicolore nero/bordeaux, ispirata agli anni ’30
James Bond 007 (1982): Omaggio al film “Solo per i tuoi occhi”
Perrier (1988): Dotata di frigobar per 6 bottiglie
Cocorico (1986): Celebrazione dei Mondiali di Calcio
Dolly (1985): Versione dedicata al pubblico femminile
Le Derivate Poco Conosciute
Bijou: Coupé in vetroresina per il mercato UK (solo 207 esemplari)
Citroneta: Versione sudamericana a 3 volumi
Pick-Up Militare: Realizzata per la Royal Navy in Malaysia
La 2CV Nella Cultura Popolare
Al Cinema e in TV
James Bond – Solo per i tuoi occhi (1981)
Il Ragazzo di Campagna (1984) con Renato Pozzetto
American Graffiti (1973)
Appare in numerosi episodi di Lupin III
Nella Musica
Claudio Baglioni le dedicò l’album Gira che ti rigira amore bello (1973)
Elisa la usò nel videoclip di Broken (2003)
Record e Imprese Straordinarie
Giro del mondo in 13 mesi (100.000 km percorsi)
Raggiunse i 5.420 metri di quota in Bolivia
Prima auto a raggiungere l’estremità della Terra del Fuoco
L’Eredità della 2CV Oggi
Collezionismo e Restauro
Oggi la 2CV è un’auto molto ricercata dai collezionisti, con valori che per:
Esemplari standard: €5.000-15.000
Versioni speciali: fino a €30.000
Sahara originale: oltre €100.000
Manifestazioni e Raduni
Ogni anno si tengono eventi dedicati in tutto il mondo:
2CV Cross (gare su sterrato)
24 Ore di Snetterton (endurance)
Raduni internazionali con migliaia di partecipanti
Influenza sul Design Moderno
Molte soluzioni della 2CV hanno ispirato auto moderne:
Sospensioni a comfort elevato
Modularità degli interni
Filosofia “less is more”
Conclusioni: Perché la 2CV è Immortale?
La Citroën 2CV non è stata semplicemente un’automobile, ma: ✔ Un fenomeno sociale che ha motorizzato la Francia ✔ Un capolavoro di ingegneria semplice ma efficace ✔ Un simbolo di libertà per generazioni ✔ Un’icona di design riconosciuta in tutto il mondo
Oltre 30 anni dopo la fine della produzione, la “Deux Chevaux” continua ad affascinare e a riunire appassionati, dimostrando che la vera genialità non passa mai di moda.
Vuoi entrare nel mondo della 2CV? Cerca nei forum specializzati e nei raduni: troverai una comunità accogliente pronta a condividere la passione per questa leggenda su quattro ruote!
James Hunt non era un pilota come gli altri. Bello, maledetto e incredibilmente veloce, è diventato una leggenda non solo per il suo talento in pista, ma anche per il suo stile di vita selvaggio, trasgressivo e senza regole.
Vinse un Mondiale di Formula 1 (1976), combatté una battaglia epica con Niki Lauda, e fu l’incarnazione del “vivi veloce, muori giovane” molto prima che fosse uno slogan.
Questo è il ritratto del vero James Hunt: genio della guida, playboy impenitente e icona di un’epoca irripetibile.
1. Gli Inizi: Da Pilota Squattrinato a Stella della F1
📅 Nascita: 29 agosto 1947, Belmont, Inghilterra. 🏎 Prima corsa: A 18 anni, con una Mini usata, senza nemmeno la patente.
La Svolta: La Formula 3 e l’Incontro con Hesketh
Nel 1971, il lord inglese Alexander Hesketh lo nota e lo porta nella sua scuderia.
Niente sponsor, nessuna regola: Solo corse, champagne e follia.
Nel 1973, debutta in F1 con la Hesketh Racing, un team che correva per divertimento.
Curiosità: La sua tuta da pilota era senza sponsor perché Hesketh rifiutava la pubblicità.
2. L’Anno Magico: 1976, la Guerra con Niki Lauda
🏆 Il Mondiale più drammatico della storia
La Rivalità con Lauda
Hunt (McLaren) vs Lauda (Ferrari): il playboy contro il perfezionista.
Dopo l’incidente al Nürburgring (Lauda rischia la vita), Hunt rimonta e vince il titolo all’ultima gara in Giappone, sotto una pioggia torrenziale.
Iconico: La foto di Hunt che urla di gioia sul podio a Fuji è una delle più celebri della F1.
3. Fuori dalla Pista: Donne, Alcol e Scandali
🍸 “Se non bevi e non scopi, non arrivi primo” (cit. James Hunt)
Lo Stile di Vita da Rockstar
Dopo le gare, invece di riposarsi, festeggiava fino all’alba con modelle e bottiglie di champagne.
A Monaco 1976, la notte prima della gara, fu sorpreso nudo in piscina con 33 stewardess.
Una volta, durante un GP, vomitò nella sua tuta prima della partenza per i postumi di una sbronza.
Matrimonio Lampo con Suzy Miller
Sposò la modella nel 1974, ma il matrimonio durò solo due anni.
La moglie lo lasciò per… Richard Burton (l’ex di Elizabeth Taylor).
4. Il Declino e la Morte Precoce
📉 Dopo il ritiro (1979), la vita divenne più dura
Lavorò come commentatore TV, ma continuò a bere e fumare senza controllo.
Morì a soli 45 anni (15 giugno 1993) per un infarto, probabilmente causato da anni di eccessi.
Ultima battuta: Poco prima di morire, disse a un amico: “Non preoccuparti, ho vissuto il doppio degli altri”.
5. L’Eredità di Hunt: Mito e Film
🎬 Rush (2013) – Il film di Ron Howard con Chris Hemsworth ha riportato Hunt alla ribalta. 🏎 Influenza sulla F1 moderna: Piloti come Daniel Ricciardo e Lando Norris ammettono di ispirarsi al suo stile.
Citazione memorabile: “La vita? È una striscia di asfalto. Più vai veloce, più ti diverti.”
Conclusione: L’Ultimo Pilota Selvaggio
James Hunt non era solo un campione, ma un simbolo di libertà e ribellione. In un’epoca in cui la F1 è sempre più controllata e perfetta, la sua figura rimane un faro per chi crede che il motorsport debba essere anche passione pura, senza filtri.
Sei un fan di Hunt? Raccontaci nei commenti la tua parte preferita della sua leggenda!
Era il 1981 quando la DeLorean Motor Company svelò al mondo la sua DMC-12: un’auto dall’aspetto futuristico, con porte ad ali di gabbiano e una carrozzeria in acciaio inossidabile. Un sogno che sarebbe diventato leggenda grazie a Ritorno al Futuro, ma che nella realtà si trasformò in un disastro finanziario, legale e industriale.
Questa è la storia di John DeLorean, del suo fallimento epico, e di come un’auto nata per essere rivoluzionaria finì per essere ricordata solo come la macchina del tempo di Marty McFly.
1. John DeLorean: Il Genio Caduto in Disgrazia
Gli Anni d’Oro alla General Motors
Negli anni ’60, DeLorean era il golden boy di GM
Padre della Pontiac GTO (considerata la prima muscle car)
Nel 1973, lasciò GM per fondare la sua azienda automobilistica
Il Sogno della DMC-12
Obiettivo: creare un’auto etica, sicura ed eterna
Design futuristico di Giorgetto Giugiaro
Telaio in fibra di vetro e carrozzeria in acciaio inox (per non verniciarla)
Ironia della sorte: L’auto doveva costare 12.000 dollari (da qui il nome DMC−12), ma arrivoˋ sul mercato a 25.000 ($80.000 al cambio attuale).
2. I Problemi della DeLorean: Dal Ritardo al Fallimento
La Produzione Disastrosa
Fabbricata in Irlanda del Nord ,location scelta per accedere a dei sussidi governativi pensati per portare la produzione industriale in aree rurali particolarmente povere
Lavoratori inesperti a causa della mancanza di know how e condizioni lavorative dure che portarono a scioperi continui
Prime auto con gravi difetti: porte che non si chiudevano, motori sottopotenza e carrozzeria di difficile lavorazione e ripristino a causa della scelta di usare l’acciaio inox
I Motivi del Flop
Motore PRV (Peugeot Renault Volvo) V6 da 130 CV troppo debole per un’auto sportiva
Peso elevato (1.230 kg, più di una Porsche 911 dell’epoca, anche a causa della carrozzeria inox)
Crisi economica del 1981: nessuno voleva un’auto di lusso
Un dato scioccante: furono prodotte solo 9.000 DeLorean prima del fallimento nel 1982.
3. Lo Scandalo della Cocaina e la Caduta di DeLorean
L’Arresto che Uccise il Mito
Ottobre 1982: DeLorean viene arrestato in un hotel di Los Angeles
Accusato di traffico di 24 kg di cocaina (valore: $24 milioni)
Filmato dagli FBI mentre diceva “This is better than gold!”
Il Processo e l’Assoluzione
Si difese dicendo di essere stato ingannato da informatori
Nel 1984, fu assolto per essere stato indotto al reato, dato che era in cerca di finanziatori per risanare le casse della sua azienda in difficoltà e cadette in un tranello.
Nonostante ne uscii penalmente pulito ormai la sua reputazione era distrutta
Curiosità: Per pagare le spese legali, vendette la sua casa a Sylvester Stallone.
4. La Rivincita (grazie a Hollywood)
Ritorno al Futuro: La Seconda Vita della DMC-12
Nel 1985, Robert Zemeckis scelse la DeLorean come macchina del tempo
Motivo? Il design “futuristico ma vintage” era perfetto
Il film la rese un’icona pop, nonostante i suoi fallimenti
Era già uscita di produzione quando il film fù girato.
Il Paradosso del Successo Postumo
Oggi una DeLorean originale vale €50.000-100.000
Franchising e merchandising continuano a vivere
Nel 2016, una nuova società ha annunciato (invano) una DeLorean elettrica
5. Perché la DeLorean è Diventata un Cult?
3 Ragioni per cui la Amiamo
Design unico (porte ad ali di gabbiano, acciaio lucido)
Storia drammatica (ascesa e caduta da film)
Mito di Ritorno al Futuro (senza il film, sarebbe dimenticata)
La Lezione Imparata
La DeLorean insegna che nel mondo delle auto, anche il progetto più visionario può fallire se non supportato da solida ingegneria e gestione.
In conclusione: Un’Auto Sbagliata, ma Immortale
La DeLorean DMC-12 doveva essere l’auto del futuro. Finì per diventare un simbolo di fallimento e redenzione cinematografica. Oggi, mentre John DeLorean riposa (è morto nel 2005), la sua creatura vive ancora, almeno nei film.
La vorresti nel tuo garage? O preferisci altre auto degli anni ’80?
La Fiat Multipla è stata una delle auto più discusse e innovative degli ultimi decenni. Nata nel 1998, ha ereditato il nome e lo spirito pratico dalla sua antenata, la Fiat 600 Multipla degli anni ’50, ma ne ha rivoluzionato il concetto, diventando un simbolo di creatività e funzionalità. Oggi, dopo anni di assenza, c’è la concreta possibilità di un suo ritorno, anche se non esattamente come molti si aspettavano.
Le origini: la Fiat 600 Multipla (1956-1967)
Prima di parlare della Multipla moderna, è doveroso ricordare la sua progenitrice, la Fiat 600 Multipla, presentata nel 1956. Basata sulla Fiat 600, questa versione “allungata” era una monovolume ante litteram, capace di trasportare sei persone in appena 3,53 metri di lunghezza grazie a una disposizione dei sedili innovativa: due posti anteriori, due centrali (con il passeggero accanto al guidatore rivolto all’indietro) e due posteriori.
Era un’auto rivoluzionaria per l’epoca: economica, compatta e versatile, utilizzata come taxi, veicolo familiare e persino come ambulanza. Il motore posteriore da 633 cc garantiva consumi ridotti, mentre l’abitacolo, seppur spartano, era incredibilmente spazioso. Un vero precursore delle moderne monovolume.
La Multipla del 1998: un’auto fuori dagli schemi
Dopo decenni di assenza, il nome Multipla tornò nel 1998 con un’auto che, ancora una volta, sfidava le convenzioni. La nuova Fiat Multipla (1998-2003) era un concentrato di innovazione: con una lunghezza di appena 3,99 metri , solo qualche centimetro più lunga di una coeva Fiat Punto, riusciva a ospitare sei persone su due file di sedili individuali, offrendo un’abitabilità eccezionale e un bagagliaio da 430 litri, espandibile fino a 1.300 litri.
Un design che ha fatto la storia (e discutere)
La linea della Multipla, firmata da Roberto Giolito, era volutamente provocatoria: il frontale con il caratteristico “scalino” tra cofano e parabrezza, i fari asimmetrici e la carrozzeria bombata la resero un caso mediatico.
Il Museum of Modern Art (MoMA) di New York la inserì nella mostra “Different Roads” come esempio di design innovativo.
La rivista TIME, invece, la classificò tra le “50 peggiori auto di tutti i tempi”, dimostrando quanto fosse polarizzante.
Tecnologia e versatilità senza compromessi
Oltre al design, la Multipla era un’auto tecnologicamente avanzata:
Pavimento piatto per massimizzare lo spazio interno.
Sospensioni posteriori indipendenti (derivate dalla Fiat Tipo) per un comfort di guida superiore.
Alimentazioni alternative: tra le prime monovolume a offrire versioni a metano (BiPower e BluPower) e GPL (GPower).
Il restyling del 2004: più convenzionale ma sempre unica
Nel 2004 arrivò la seconda generazione, con un restyling che ammorbidì il design, eliminando lo “scalino” frontale per uniformarsi al nuovo stile Fiat. Mossa pensata per cercare di ravvivare le vendute per una vettura che non ottenne il successo sperato dalla casa torinese che pensò di renderla con l’aggiornamento di metà carriera una vettura meno fuori dagli schemi. Nonostante le critiche degli appassionati del modello originale, la Multipla restò un’auto pratica e versatile, mantenendo la stessa filosofia progettuale.
La Multipla è sempre stata una vettura divisiva: o la si amava o la si odiava, tanto che nonostante i numeri di vendita non furono mai entusiasmanti, mantenne quotazioni alte sul mercato dell’usato in quanto non esistevano alternative, a parte la Honda Fr-V , che permettessero di trasportare 6 persone in poco spazio, e chi la aveva difficilmente se ne sbarazzava se non a caro prezzo.
L’avventura cinese: la Zotye M300
Dopo la fine della produzione in Italia nel 2010, la Multipla ha avuto una seconda vita in Cina grazie alla casa automobilistica Zotye:
2008-2010: Zotye assemblò la Multipla II con kit di produzione italiani, ribattezzandola “Multiplan”
Dal 2010: Produzione completamente localizzata con il nome “Langyue”
2012: Presentazione della Zotye M300 EV, versione elettrica di cui furono prodotti 220 esemplari
Purtroppo, nonostante l’interessante conversione elettrica, il progetto non ebbe il successo sperato e la produzione terminò definitivamente nel 2013.
La Multipla tornerà? Sì, ma solo se sarà all’altezza
Negli ultimi mesi, Olivier François, CEO di Fiat, ha lasciato intendere che il nome Multipla potrebbe tornare, ma solo se legato a un’auto che ne rispetti lo spirito originale.
No alla Multipla SUV, sì a una vera monovolume
Inizialmente si era parlato di un possibile crossover di segmento C ispirato alla Multipla, ma ora sembra che questo progetto (provvisoriamente chiamato Pandissima) avrà un altro nome. La nuova Multipla, invece, potrebbe essere una monovolume a sei posti, basata sulla piattaforma Smart Car di Stellantis, come la nuova Grande Panda.
Quando la vedremo?
Secondo le indiscrezioni, il debutto potrebbe avvenire tra il 2028 e il 2029, sempre che Fiat decida di procedere con un progetto all’altezza dell’originale. L’obiettivo sarebbe quello di creare un’auto che, come la Multipla degli anni 2000, “ospiti più persone in modi sorprendenti”, mantenendo un rapporto qualità-prezzo competitivo.
Un’eredità che merita di continuare
La Fiat Multipla è stata un’auto anticipatrice dei tempi: spaziosa, versatile e con un design che ancora oggi divide. Se il suo ritorno avverrà rispettandone l’essenza, potrebbe essere una gradita sorpresa per chi cerca un’auto pratica, innovativa e con un tocco di personalità.
E voi? Cosa ne pensate? Vorreste una nuova Multipla?
L’Autobianchi A112 è molto più di un’auto: è un simbolo di un’epoca, un’icona che ha rivoluzionato il concetto di utilitaria, diventando un punto di riferimento per intere generazioni. Prodotta dal 1969 al 1986, la A112 è stata una delle auto più amate in Italia, capace di unire praticità, stile e prestazioni in un pacchetto compatto e accessibile. Con oltre 1,2 milioni di esemplari venduti, la A112 ha lasciato un segno indelebile nella storia dell’automobile, diventando un mito senza tempo.
Il contesto: la risposta italiana alla Mini
Negli anni ’60, la Mini stava conquistando il mercato europeo con il suo design rivoluzionario e la sua trazione anteriore. In Italia, la Fiat 850, pur essendo un’auto di successo, non riusciva a competere con l’appeal della Mini, soprattutto tra i giovani e le donne. Fu così che Dante Giacosa, geniale ingegnere di Fiat, decise di sviluppare un nuovo modello attraverso la controllata Autobianchi. L’obiettivo era creare un’auto compatta, moderna ed elegante, che potesse competere con la Mini e anticipare le soluzioni tecniche della futura Fiat 127.
Nacque così il progetto X1/2, che avrebbe dato vita alla A112. Presentata al Salone di Torino del 1969, la A112 ottenne un successo immediato, diventando in poco tempo un’auto cult.
La A112: un’auto rivoluzionaria
La A112 si distingueva per il suo design compatto e sportivo, con linee pulite e un’abitabilità sorprendente per le sue dimensioni. La trazione anteriore, il motore Fiat da 903 cm³ (inizialmente con 44 CV) e il cambio a 4 marce la rendevano un’auto agile e divertente da guidare. Nonostante le dimensioni ridotte, la A112 offriva un bagagliaio da 180 litri e un’abitabilità confortevole, grazie anche alla scocca portante che garantiva rigidità e sicurezza.
Il successo della A112 fu tale che, nei primi anni, la produzione non riusciva a soddisfare la domanda, costringendo i clienti ad attese di oltre un anno. Nel 1970, la A112 si aggiudicò il secondo posto come Auto dell’Anno, superata solo dalla Fiat 128.
Le versioni: dalla Elegant all’Abarth
Nel corso della sua carriera, la A112 ha subito numerosi restyling e miglioramenti, dando vita a otto serie diverse. Tra le versioni più celebri spiccano:
A112 Elegant: introdotta nel 1971, offriva finiture più curate, come il tetto in colore contrastante e una dotazione più ricca.
A112 Abarth: la versione sportiva, nata dalla collaborazione con Carlo Abarth, era equipaggiata con un motore da 982 cm³ e 58 CV, capace di raggiungere i 160 km/h. Con il suo assetto ribassato e il design aggressivo, la A112 Abarth diventò l’auto dei sogni per i giovani sportivi.
A112 Elite: la versione di punta, con motore da 965 cm³ e 48 CV, cambio a 5 marce e accensione elettronica, rappresentava il top della gamma in termini di comfort e tecnologia.
La A112 Abarth: un mito sportivo
La A112 Abarth è stata una delle auto più iconiche degli anni ’70 e ’80. Con il suo motore potenziato, il design sportivo e le prestazioni brillanti, la Abarth era l’auto ideale per chi cercava emozioni su strada. Tanti campioni dell’epoca hanno accompagnato le loro carriere con questa piccola grande auto. La A112 Abarth non era solo un’auto, ma un simbolo di passione e sportività.
L’eredità della A112
La A112 è stata prodotta fino al 1986, quando è stata sostituita dalla Lancia Y10. Nonostante la sua uscita di scena, la A112 ha lasciato un’eredità immensa. È stata l’auto che ha inventato il concetto di utilitaria premium, un’auto piccola ma ricca di stile, tecnologia e personalità. Oggi, la A112 è ancora amatissima dagli appassionati, che la considerano un pezzo di storia dell’automobile italiana.
Un’auto che ha fatto sognare
L’Autobianchi A112 è stata un’auto rivoluzionaria, capace di unire praticità, stile e prestazioni in un pacchetto compatto e accessibile. Con modelli come la Elegant e l’Abarth, ha scritto pagine indimenticabili della storia dell’automobile, conquistando il cuore di milioni di italiani. E anche se oggi non è più in produzione, la A112 continua a vivere nei ricordi di chi ha avuto la fortuna di guidarla, un’auto che ha fatto sognare e che rimarrà per sempre un mito senza tempo.
Era il 1987 quando la Ferrari svelò al mondo la F40, un’automobile così estrema da sembrare uscita direttamente dalla pista. Progettata per celebrare i 40 anni della casa di Maranello, questa fu l’ultima vettura approvata personalmente da Enzo Ferrari prima della sua morte.
Con il suo motore V8 biturbo da 471 CV, carrozzeria in fibra di carbonio e kevlar, e un peso di appena 1.100 kg, la F40 non era semplicemente una macchina: era una dichiarazione di guerra a ogni convenzione.
1. La genesi: nascita di una leggenda
Il contesto storico
Fine anni ’80: la Ferrari è sotto pressione per rispondere alla Porsche 959 e alla Lamborghini Countach
Enzo Ferrari vuole creare un’auto che sia “la più veloce del mondo”
Il progetto viene affidato a Nicola Materazzi, padre del motore della Lancia Stratos
Caratteristiche tecniche rivoluzionarie
✔ Motore: 2.9 V8 biturbo (derivato dalla 288 GTO Evoluzione) ✔ Peso: 1.100 kg (400 kg in meno di una Countach) ✔ Velocità: 324 km/h (prima auto di serie a superare i 200 mph) ✔ Aerodinamica: alettone fisso e fondo piatto
Curiosità: Le prime F40 non avevano nemmeno l’impianto stereo o i finestrini elettrici per risparmiare peso!
Parabrezza piatto senza curvature per ridurre i costi
Porte che si aprono verso l’alto con meccanismo a corda
Interni spartani
Sedili fissi (si regola solo il pedale)
Tappetini in moquette come unica concessione al lusso
Strumentazione analogica con contagiri che arriva a 10.000 giri
Iconico: I tripli sfoghi sul cofano posteriori, diventati un segno distintivo Ferrari
3. Prestazioni: pura adrenalina
Come si guida una F40?
Turbo lag pronunciato: sotto i 3.000 giri sembra spenta, poi esplode
Sovrasterzo selvaggio in uscita di curva
Frenata senza ABS richiede grande sensibilità
Dati tecnici che fanno ancora paura
0-100 km/h: 3.8 secondi
0-200 km/h: 11 secondi
1 km da fermo: 20.9 secondi
Anecdoto: Il pilota F1 Michele Alboreto la definì “pericolosa come una motosega”
4. L’eredità: perché la F40 è ancora insuperata?
L’ultima vera Ferrari “analogica”
Nessun controllo elettronico
Guida puramente meccanica
Sensazioni raw che le moderne hypercar hanno perso
Valore collezionistico
Prodotte solo 1.311 esemplari (originariamente previsti 400)
Prezzi attuali: €1.5-3 milioni per un esemplare originale
Le F40 “non modificate” sono le più ricercate
5. Curiosità e miti da sfatare
3 cose che non sai sulla F40
Le prime 50 uscite di fabbrica erano senza catalizzatore (più leggere e potenti)
Esiste una versione Competizione da 700 CV (solo 19 esemplari)
Michael Jordan ne comprò due: una la distrusse in un incidente
Mito vs realtà
❌ “È impossibile da guidare”: Vero solo per principianti ❌ “Enzo la odiava”: Falso, era orgogliosissimo del progetto
Più di un’auto, un simbolo
La Ferrari F40 rappresenta l’apice della filosofia Ferrari: prestazioni pure, senza compromessi. A oltre 35 anni dal debutto, rimane l’auto più amata dai puristi e un capolavoro che nessuna tecnologia moderna potrà mai replicare.
Hai mai visto una F40 dal vivo? Raccontaci la tua esperienza nei commenti!
Quando si parla di piloti italiani leggendari, il nome di Arturo Merzario non può mancare. Con il suo inconfondibile cappello da cowboy e uno stile di guida aggressivo, “Art” ha lasciato un segno indelebile nel mondo delle corse, dalla Formula 1 alle vetture sport-prototipi, passando per i rally e le competizioni turismo. Ma la sua storia non è fatta solo di vittorie: Merzario è anche l’uomo che salvò la vita a Niki Lauda durante il tragico incidente al Nürburgring nel 1976.
Dagli inizi alle corse in turismo
Nato l’11 marzo 1943 a Civenna (Como), Arturo Merzario – il cui nome all’anagrafe è Arturio per un errore di registrazione – scoprì la passione per i motori grazie alla Alfa Romeo Giulietta Spider del padre. Nel 1962, a soli 19 anni, esordì a Monza nella Coppa Fisa, attirando l’attenzione del Jolly Club, che gli offrì un posto nel team.
Dopo una stagione con l’Alfa Romeo, passò alla Fiat Abarth 1000, ottenendo ottimi risultati nel Campionato Italiano Turismo e nel Campionato Europeo. Ma fu con le vetture sport-prototipi che Merzario trovò la sua vera vocazione.
L’era d’oro con Abarth e Ferrari
Nel 1969, alla guida di una Abarth 2000, vinse il Gran Premio del Mugello, ripetendosi anche l’anno successivo. Questi successi gli aprirono le porte della Ferrari, con cui conquistò alcune delle sue vittorie più prestigiose:
Targa Florio 1972 (con Sandro Munari)
1000 km di Spa 1972 (con Brian Redman)
Campionato Mondiale Marche 1972 con la Ferrari 312 PB
Merzario divenne un pilota temuto e rispettato, capace di dominare su circuiti leggendari come il Nürburgring, dove dimostrò non solo talento, ma anche un coraggio fuori dal comune.
Formula 1: un’avventura tra luci e ombre
Il debutto in F1 arrivò nel 1972 con la Ferrari, dove ottenne un sesto posto al GP di Gran Bretagna. Tuttavia, la sua carriera in monoposto fu segnata da macchine poco competitive, tra cui la Iso-Williams e la March.
Nel 1976, mentre correva con una Wolf-Williams, accadde l’episodio che lo rese celebre oltre le piste: durante il GP di Germania, fu tra i primi a soccorrere Niki Lauda dopo il terribile incidente al Nürburgring. Lauda, in segno di gratitudine, gli regalò un orologio Rolex d’oro.
La Merzario Team: il sogno (e il fallimento) di un costruttore
Nel 1978, Merzario fondò la sua scuderia, la Merzario Team, con l’obiettivo di competere in F1. Purtroppo, la mancanza di fondi e la crescente competitività del mondiale lo costrinsero a ritirarsi nel 1984, dopo anni di lotta per qualificarsi alle gare.
Il ritorno alle corse e il mito del cappello da cowboy
Nonostante le delusioni in F1, Merzario non abbandonò mai le corse. Negli anni ’90 e 2000 tornò a gareggiare nei trofei monomarca (come il Trofeo Maserati Ghibli) e nelle gare GT, continuando a vincere con Porsche e Ferrari.
Oggi, a 81 anni, è ancora una figura amata dai tifosi, non solo per i suoi successi, ma anche per il suo carisma e quel cappello da cowboy che lo ha reso unico nel paddock.
Curiosità e riconoscimenti
Salvò Niki Lauda dalle fiamme della sua vettura al Nurburgring : uno dei gesti più eroici della storia dell’F1.
Presidente onorario della Scuderia del Portello dal 2010.
Vincitore di oltre 100 gare in diverse categorie.
Un soprannome particolare: “Art” per gli amici, ma il vero nome è Arturio per un errore anagrafico!
Arturo Merzario è stato un pilota coraggioso, determinato e fuori dagli schemi. Un vero cowboy delle piste, che ha scritto pagine indimenticabili del motorsport italiano.
E voi, lo ricordate in pista con il suo cappello? Raccontateci la vostra memoria preferita di Merzario nei commenti!
Il Mitsubishi Pajero è uno dei fuoristrada più iconici della storia automobilistica, un veicolo che ha lasciato un segno indelebile nel cuore degli appassionati di avventure off-road. Prodotto dal 1982 al 2021, il Pajero ha attraversato quattro generazioni, diventando un simbolo di robustezza, affidabilità e prestazioni fuoristrada. Nonostante il suo ritiro dai listini a causa delle sempre più stringenti normative ecologiche, il Pajero rimane un’icona, amata in tutto il mondo.
Le origini: la prima serie del Mitsubishi Pajero (1982-1991)
Il Pajero fece il suo debutto al Salone dell’Automobile di Tokyo nel 1981, entrando in produzione l’anno successivo. La prima serie, denominata L040, era disponibile in due versioni: una 3 porte con tetto in metallo o tela (canvas top) e una 5 porte station wagon. Con un design semplice ma funzionale, il Pajero si distingueva per il suo telaio a longheroni e traverse, trazione posteriore con inseribile anteriore e riduttore a due rapporti.
Le motorizzazioni includevano un 2.0 litri a benzina, un 2.6 litri a benzina, un 2.3 litri diesel e un 2.5 litri turbodiesel. In Italia, il Pajero arrivò nel 1983 con il motore 2.3 TD, seguito dal più potente 2.5 TD. Nel 1989, Mitsubishi introdusse l’intercooler sul 2.5 TD e aggiornò le sospensioni posteriori, passando dalle balestre ai molloni elicoidali.
La seconda serie (1991-1999): innovazione e prestazioni
La seconda generazione, V20, debuttò nel 1991 con un design completamente rinnovato e dimensioni leggermente aumentate. Disponibile in tre carrozzerie (3 porte metal top, canvas top e 5 porte wagon), questa serie introdusse il rivoluzionario sistema Super Select 4WD, che offriva una trazione integrale avanzata e versatile.
I motori includevano il 2.5 litri turbodiesel intercooler, il 2.8 litri turbodiesel intercooler, il 2.4 litri a benzina e il 3.0 litri V6 a benzina. Nel 1997, un restyling portò ulteriori migliorie, tra cui l’introduzione del motore 3.5 litri V6 GDI da 245 CV, che anticipava le prestazioni della successiva generazione.
La terza serie (1999-2006): comfort e tecnologia
La terza generazione, V60 (passo corto) e V70 (passo lungo), fu lanciata nel 1999 con un design più moderno e dimensioni ulteriormente aumentate. Disponibile in versioni 3 e 5 porte, questa serie si distingueva per il sistema SS4-II, un’evoluzione del Super Select 4WD, e per l’introduzione del motore 3.2 litri DI-D diesel da 160 CV, che divenne il cuore pulsante del Pajero.
Nel 2003, un restyling portò aggiornamenti estetici e l’adozione di sistemi elettronici di controllo della trazione, rendendo il Pajero ancora più sicuro e performante.
La quarta serie (2006-2021): l’ultimo capitolo
La quarta e ultima generazione, V80, debuttò nel 2006 con un design rinnovato e una scocca rinforzata. Disponibile in versioni 3 e 5 porte, questa serie mantenne il motore 3.2 litri DI-D diesel, aggiornato a 200 CV nel 2010, e introdusse il 3.8 litri V6 a benzina da 249 CV.
Nonostante i continui aggiornamenti, il Pajero dovette affrontare le sfide delle normative ecologiche. Nel 2019, Mitsubishi annunciò il ritiro del modello dai mercati giapponese ed europeo, a causa delle norme Euro 6D-Temp. La produzione continuò per altri mercati fino al 2021, quando il Pajero uscì definitivamente di scena, lasciando un vuoto nel cuore degli appassionati.
Il Pajero nelle competizioni: un campione della Dakar
Il Pajero non è stato solo un fuoristrada da strada, ma anche un protagonista delle competizioni. Con il modello Evolution, derivato direttamente dalla versione da gara, Mitsubishi ha dominato il Rally Dakar, vincendo numerose edizioni e dimostrando le capacità fuoristrada del veicolo.
Versione militare: il Mitsubishi Pajero in divisa
Mitsubishi ha anche prodotto una versione militare del Pajero, la Type 73 Jeep, utilizzata dall’esercito giapponese. Dotata di un motore 2.8 litri turbodiesel intercooler, questa versione era pensata per missioni di ricognizione e trasporto, mantenendo molte componenti in comune con il Pajero civile.
Mitsubishi Pajero : un’eredità indelebile
Il Mitsubishi Pajero è stato più di un semplice fuoristrada: è stato un compagno di avventure, un simbolo di libertà e un’icona del design automobilistico. Con le sue quattro generazioni, ha conquistato il mondo, dimostrando di essere un veicolo capace di affrontare qualsiasi terreno con eleganza e potenza.
Anche se le normative ecologiche ne hanno decretato la fine, il Pajero rimane un mito per gli appassionati, un’auto che ha scritto pagine indimenticabili nella storia dell’automobilismo. E chissà, forse un giorno tornerà, magari in versione elettrica, per continuare a regalarci emozioni senza tempo.